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Cimitero monumentale - Introduzione

Introduzione storica

Tra le tante novità conseguenti alla Rivoluzione Francese vennero anche profondamente modificati il rapporto con la morte, i luoghi e modi delle sepolture, le cerimonie funebri, la concezione delle tombe.
Fino ai primi anni del secolo XIX° la morte era strettamente legata alla religione per cui i defunti più nobili e facoltosi venivano sepolti in sepolcri entro le chiese, oppure in spazi ad esse contigui (come nel caso di Andrea e Malatesta Novello) e il popolo in cimiteri vicini a chiese e conventi.

Nel 1804 Napoleone determinò un profondo cambiamento nelle sepolture emanando il cosiddetto Editto di Saint Cloud che, riprendendo istanze nate in epoca illuminista, imponeva la collocazione delle tombe lontano dalle mura cittadine e disponeva che fossero semplici e uguali l’una all’altra.
Il provvedimento nasceva da ragioni di natura igienica e di eguaglianza: tutelare la salute pubblica e ridurre le distanze sociali dopo la morte. Tendeva, inoltre, a ridimensionare l’influenza della chiesa.
Le disposizioni napoleoniche vennero estese all’Italia nel 1806 e recepite dal decreto del vice re Eugenio Beauharnais del 3 gennaio 1811.
Un cambiamento di tale portata non poteva non suscitare discussioni e riflessioni di cui si fece interprete Ugo Foscolo nello straordinario carme Dei sepolcri.

Il Dipartimento del Rubicone, entro cui si trovava Cesena, recepì i nuovi indirizzi relativi alle sepolture con provvedimento del 22 aprile 1813 ed emanò le conseguenti disposizioni subito trasmesse al vicario capitolare monsignor Giuliano Mami e ai parroci del territorio.
Il luogo del campo mortuario di Cesena venne individuato nell’area in cui erano sorti il convento e la chiesa dei soppressi Canonici Regolari di Santa Croce, a una distanza di circa due chilometri dalle mura cittadine, fuori Porta Santa Maria.
Vennero impartite disposizioni sul funzionamento del cimitero, sul personale, rappresentato da un custode assistito da un sepoltore e un sotterratore, sui tempi in cui i cadaveri sarebbero rimasti presso le famiglie prima del seppellimento al fine di evitare i contagi maligni, ma anche gli inconvenienti di una morte apparente.
Entro il 5 maggio 1813 tutti gli altri cimiteri dovevano andare in disuso ed era vietata ogni facoltà di seppellire i morti in luoghi diversi.
Il nuovo cimitero all’inizio si presentava in forma estremamente semplice e spoglia, senza un muro di cinta e con un lugubre cancello d’entrata in legno verniciato di nero, così come essenziali dovevano essere i funerali da svolgersi di notte, tramite un carrettone, tirato da un cavallo, privo di qualsiasi insegna e senza alcun accompagnamento di ecclesiastici e parenti.
Il campo mortuario venne solennemente benedetto il 5 maggio 1813, alle ore 5 pomeridiane, con funzione celebrata dal vicario capitolare monsignor Mami.
Il giorno dopo, 6 maggio, alle ore 11 pomeridiane, venne effettuata la prima sepoltura relativa al corpo di tale Sante Zoli che, dalla Polizza di Tumulazione, risulta di professione “barattiere di monete vecchie”, nato a Cesena il 13 novembre 1754, deceduto il giorno precedente alle ore 10 antimeridiane a causa di emottisi.
La seconda sepoltura riguardò il cadavere di Giovanni Moretti di cui sappiamo solo che morì di “epilessia cronica“, non essendo conservata la Polizza di Tumulazione ma solo l’autorizzazione dell’Ufficiale di Stato Civile Bonavita.
Il 9 maggio venne sepolta la terza salma, la prima di genere femminile, quella di una neonata esposta, Maria Caterina, la cui morte venne attribuita ad apoplessia.

Il numero limitato delle tumulazioni nei primi giorni di funzionamento del nuovo cimitero fa supporre forme di disobbedienza rispetto a norme avvvertite come troppo restrittive e che modificavano tradizioni secolari. Probabilmente, almeno per qualche tempo, ci fu ancora chi, di nascosto, preferì continuare a seppellire i propri morti nelle chiese o nelle cantine, con grave pericolo per la salute pubblica, specialmente nel corso di epidemie.
Il funzionamento del nuovo cimitero, dunque, non partì sotto i migliori auspici e provocò vasti malumori ed estese proteste.
Funerali tenuti di notte e senza accompagnamento negavano le ultime manifestazioni di affetto tributate da parenti e amici ai propri cari defunti, sconveniente appariva la promiscuità tra corpi appartenuti
a persone diverse per sesso, stato sociale ed età e, in più, il luogo del cimitero risultava malsano e acquitrinoso.
Le proteste dei cesenati vennero esposte da monsignor Mami alla Deputazione del Camposanto in una lettera datata 1 febbraio 1814 e trasmessa personalmente da don Giovanni Cooke, il frate agostiniano di origine irlandese che fu il primo direttore del cimitero e, con singolare duplicità di ufficio, anche direttore della Biblioteca Malatestiana.
La lettera conteneva una serie di richieste relative ai funerali, affinchè prevedessero la presenza di un sacerdote e dei parenti, alle modalità di sepoltura, alla possibilità di costruire cappelle gentlizie.
Il Presidente della Deputazione, Baldassarre Romagnoli, rispose nel giro di alcuni giorni assicurando che alle richieste avanzate si sarebbe data celere risposta.

In effetti vennero presto eseguiti lavori che migliorarono il decoro e l’igiene del luogo sacro: venne costruito un muro di cinta, scavate fosse per convogliare le acque di quell’area acquitrinosa nel vicino torrente Cesuola, modificate le modalità di sepoltura consentendo la costruzione di cappelle gentilizie.
Queste iniziative fecero cessare l’avversione dei cesenati per il nuovo cimitero.

Nel frattempo Cesena era ritornata sotto il governo di papa Pio VII Chiaramonti che, dopo la prigionia francese, il 20 aprile 1814 aveva fatto il suo ingresso trionfale a Cesena.
Nonostante il cambiamento del governo, il nuovo cimitero mantenne la sua funzione, ma venne profondamente modificato in senso religioso e con un impianto architettonico solenne e monumentale. 
Nella primavera del 1816 venne dato inizio alla costruzione della chiesa, dei porticati formati da grandi colonne di ordine dorico e delle prime cappelle gentilizie acquistate dalle principali istituzioni e dalle famiglie nobili della città.
Alla progettazione lavorarono i maggiori architetti cesenati dei primi anni dell'Ottocento come possiamo leggere sulle lapidi poste alla congiunzione dei due porticati le quali ci informano che il cimitero ammirato per il sereno abbraccio del porticato ellittico e la sacralità del quadrilatero è dovuto all'arch. B. Barbieri e che il 26 agosto 1815 vennero scelti i seguenti progetti: la chiesa con porticato dell'architetto Giacomo Bertozzi, il loggiato dell'architetto Benedetto Barbieri, la mura con pilastrata di ordine dorico dell'ingegner Curzio Brunelli. La posa della prima pietra il 6 maggio 1816.
La parte monumentale è costituita da un ampio rettangolo e da un grande ottagono attraversati dal viale, affiancato da alti cipressi, che dall’ingresso porta alla chiesa, a pianta centrale, con pronao dorico e, nella cupola, affreschi di Leandro Marconi (Mantova 1763 – Bologna 1837).

Ampliamenti e cambiamenti sono proseguiti nel tempo.
Particolarmente importante è stata la realizzazione, nel 1957, della nuova facciata su via Giovanni Pacchioni, sobria e lineare, in base al progetto degli architetti Saul Bravetti e Ilario Fioravanti.
Fioravanti (Cesena 1922 – 2012) fu anche eccellente scultore e a lui si devono i due gruppi di statue in bronzo ai lati dell'ingresso che raffigurano due momenti della Passione di Cristo.
Sono di Fioravanti anche i due dipinti all’interno del muro d’entrata.
Il grande cancello in ferro battuto con foglie di palma orizzontali venne ideato da Mario Morigi (Cesena 1904 - 1978), autore anche delle formelle sul muro esterno che raffigurano episodi del Vecchio e Nuovo Testamento.

L'Arte accoglie, dunque, il visitatore fin dall'ingresso e lo accompagna nel percorso lungo tutta la teoria delle cappelle. La bellezza delle statue e dei busti aiuta a trasmettere ai visitatori il ricordo degli uomini che hanno avuto un ruolo importante nella città e soprattutto grata va la memoria a quei benefattori che hanno dedicato impegno e risorse nel migliorare le condizioni di vita dei cesenati.