10 - Tomba Famiglia Serra n. 30 – Porticato Nord
Questa tomba non contiene opere d’arte ma è una delle più riguardevoli del cimitero perché conserva le spoglie e la memoria del più importante scrittore nella storia di Cesena, Renato Serra, intellettuale di livello europeo, che purtroppo ebbe la vita prematuramente stroncata da una pallottola austriaca, il 20 luglio 1915, sul monte Podgora.
Era nato il 5 dicembre 1884, nella sobria ma elegante palazzina sul viale Carducci ora trasformata in Museo a lui dedicato.
Le condizioni economiche della famiglia Serra erano buone. Il padre Pio era apprezzato medico e uomo colto e appassionato di temi filosofici, la madre, Rachele Favini, a cui Renato era molto legato, apparteneva a una famiglia benestante di origine lombarda.
Drammatica fu la morte del padre, il 29 gennaio 1911, mentre scendeva dal treno merci che non fermava a Cesena ma solo rallentava. Pio Serra proveniva da Santarcangelo dove si era recato per il suo lavoro di medico delle ferrovie. Quel giorno la sua capparella rimase impigliata al treno e lui venne risucchiato sotto il convoglio.
Secondo la testimonianza della moglie, l'orologio a pendolo del salotto si fermò nell'istante in cui il marito morì e non volle più funzionare.
Accanto alla casa, dove ora è un alto condominio, c'era una villetta dove andò ad abitare, dopo il matrimonio, la sorella Maria Pia che morì prematuramente di parto, il 7 dicembre 1908, lasciando due bambini a cui Renato era affezionato.
La passione per la lettura e lo studio nacque in lui fin da bambino e il suo percorso scolastico fu veloce e brillante.
Nel 1909 venne nominato direttore della Malatestiana, la casa dei libri e si dedicò alla critica letteraria ma sempre con un modo personale e particolare.
Nei suoi scritti faceva entrare la vita, instaurava un dialogo con il lettore parlando anche di sé, delle proprie esperienze, inserendo squarci di natura o di ambienti cesenati.
Nonostante la passione letteraria, Serra non fu quello che si dice un topo di biblioteca, amava più la vita della letteratura (e la letteratura in quanto legata alla vita) e la vita era per lui pulsione fisica, emozioni e intense sensazioni.
Per questo era per lui un grande piacere dedicarsi all'attività fisica: gli esercizi in palestra, il nuoto, il gioco del pallone nello sferisterio sulla Rocca e, soprattutto, la bicicletta: lunghe corse da Cesena anche fino a Bologna e Firenze.
Visse anche vicende sentimentali complicate e per una donna rischiò di morire quando il marito geloso, il meccanico Luigi Tondi presso cui portava a riparare la sua Peugeot rossa da corsa, lo aspettò in corso Umberto (ora Gastone Sozzi), gli lanciò una barra metallica e gli sparò cinque colpi di pistola di cui due andarono a segno: uno al braccio e uno al petto.
Quest’ultimo, che poteva essere fatale, fu fortunatamente fermato dal grosso borsellino di cuoio che, quella mattina, la madre aveva posto nella tasca sinistra del gilet mentre Serra di solito lo portava nella destra.
Anche Serra era armato, estrasse la sua Browning calibro 6 e sparò un colpo che andò a vuoto ma tenne lontano il Tondi che poi fuggì via.
Senza la provvidenziale svista della madre, probabilmente non avremmo quel testo eccezionale che è l'Esame di coscienza di un letterato né molte delle bellissime lettere, né i saggi critici, né lo straordinario Diario personale scritto al fronte e pubblicato postumo col titolo Diario di trincea.
Purtroppo nessuna circostanza favorevole protesse Serra quando, nel primo pomeriggio del 20 luglio 1915, durante una feroce battaglia sulle pendici del Podgora, ribattezzato monte Calvario, un cecchino austriaco lo colpì alla testa mentre, al comando della sua compagnia, si affacciava da una trincea nemica appena occupata per osservare la situazione.
Era andato in guerra non per spirito militaristico ma per un bisogno esistenziale, come un dovere da compiere, per essere insieme ad altri uomini in quella immane tragedia che fu la Prima Guerra Mondiale.
Queste riflessioni e questo interiore percorso venne espresso nell’Esame di coscienza in cui parlava di sé come di un uomo nuovo, libero e vuoto rispetto ai pensieri e interessi precedenti.
Nel Diario, iniziato il 6 luglio 1915, mostrò di comprendere subito il volto peggiore della guerra, eppure affrontò quell’esperienza con coraggiosa dignità.
Il corpo venne fortunosamente recuperato dai suoi commilitoni al termine della battaglia e sepolto nel piccolo cimitero di Mossa, in provincia di Gorizia e, finalmente, il 24 luglio 1921, le sue spoglie tornarono a Cesena per essere collocate nella cappella di famiglia.
Il funerale fu un evento straordinario che coinvolse larga parte della città, accompagnato da una grande folla e da una pioggia di fiori gettati da finestre e balconi.
Nella lapide sulla parete centrale sono ricordati anche il padre e la sorella morti prematuramente, la madre, il fratello Africo, detto "Nino", medico e "chirurgo valentissimo" come si legge nella lapide a lui dedicata sulla parete di sinistra, il figlio di lui Franco, professore di filosofia e altri parenti.
A Renato è dedicata la lapide con medaglione sulla parete destra che ne illustra l’attività e i meriti, sotto la quale è posta una roccia proveniente dal Podgora, portata dai soldati del suo Reggimento, l’11° Fanteria.
La cappella è impreziosita da begli arredi in bronzo: il cancelletto, il porta fiori, il lampadario, tutti intrecciati di rose, fiore che Renato particolarmente apprezzava.
Festoni floreali con rose costituiscono anche bei motivi ornamentali affrescati sulle pareti.
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