07 - Tomba Gaspare Finali n. 46 – Porticato Nord
La cappella è quasi tutta occupata da un massiccio, austero sarcofago in marmo rosso sostenuto da otto cariatidi.
Al centro della parete di fondo è collocato un medaglione in bronzo con il profilo di Gaspare Finali, opera firmata dello scultore Domenico Trentacoste (Palermo 1859-Firenze 1933). A terra, sotto il sarcofago, un’ampia lapide ricorda le numerose e importanti cariche rivestite da Finali, il più notevole politico cesenate del suo tempo che assurse a una prestigiosa dimensione nazionale.
Sulla parete sinistra è la lapide, con medaglione e ritratto, della madre Maria Zamboni, vedova di Giovanni Finali, opera firmata dello scultore Stefano Galletti (Cento 1832 – Roma 1905) e, in basso, è la lapide che ricorda Giovanni, padre di Gaspare, notaio e memorabile esempio di tutti i padri.
Gaspare Finali nacque a Cesena, il 20 maggio 1829, in un’abitazione all’attuale numero 74 di corso Sozzi, in prossimità della Barriera Cavour, indicata da una lapide sulla facciata che segnala la sua probità ingenita e la grande bontà. Porta ancora il suo nome - Case Finali - il quartiere dove un tempo c'erano sue proprietà. Dotato di forte personalità, Finali fu contrario al potere pontificio e aderì agli ideali del Risorgimento, dedicandosi con grande passione alla vita politica, dapprima su posizioni mazziniane, poi di sostegno alla monarchia sabauda.
Nell'aprile del 1855, evitò con una fuga rocambolesca l'arresto da parte delle guardie papaline, poi venne salvato dal conte Alessandro Ghini che, pur devoto al governo pontificio, nascose l’amico per due mesi nel suo palazzo e, il 25 giugno, lo fece uscire dalla città nella sua carrozza.
Rifugiatosi a Torino ed entrato in contatto con Cavour, si convertì all'idea di un'Italia unita sotto la monarchia e offrì a questa causa la sua grande competenza in materia finanziaria.
Significativo fu l’incontro con Cavour a cui Finali, emigrante, povero e sconosciuto, venne presentato da Luigi Carlo Farini.
Quando Cavour sentì che era romagnolo, tra il burbero e il benevolo disse: Romagnolo! Romagnolo! Teste calde! Troppo Calde!
Finali, pur nel sentimento di rispetto e ammirazione verso Cavour ma fiero della sua terra e del carattere dei romagnoli, ribatté: Senza teste calde, Eccellenza, non si libera l’Italia dagli austriaci e dai tiranni!
Una risposta piacque a Cavour che cominciò a prendere in considerazione quel romagnolo dalla testa leonina e dalla notevole cultura e intelligenza.
L'elenco delle cariche da lui ricoperte è lunghissimo, così come quello delle onorificenze ricevute. Per qualche mese fu sindaco di Cesena ma presto si dimise per dedicarsi a impegnativi compiti nazionali. Rimase, tuttavia, sempre legato alla sua città, si adoperò per lo sviluppo di Cesena e fu tra coloro che sollecitarono l’istituzione del Regio Liceo. In varie legislature venne eletto deputato per il collegio di Cesena, poi senatore e ministro dell'Agricoltura e Commercio nel governo Minghetti, dei Lavori Pubblici nel governo Crispi e del Tesoro nel governo Saracco.
Dal 1893 al 1907 fu presidente della Corte dei Conti. Apprezzato per competenza e correttezza, presiedette la commissione d'inchiesta sulle gravi irregolarità nella gestione della Banca Romana e del Banco di Napoli, di fatto ponendo le premesse per la nascita della Banca d'Italia.
Un'altra sua passione fu la cultura. Fu amico di Giovanni Pascoli e, tra i cinquanta e i settant'anni tradusse i 21.000 versi di tutte le commedie di Plauto che pubblicò nel 1903.
Morì l’8 novembre 1914, nella villa di Gruffieto, nei pressi di Palazzuolo sul Senio. Fino alla fine mantenne la coerenza del suo spirito laico, rifiutando i conforti religiosi che vennero impartiti per decisione della famiglia solo dopo la perdita della coscienza.
I funerali videro la presenza di molte autorità e di un lungo corteo. Il Comune gli ha intitolato uno dei viali principali della città, quello che unisce la Barriera Cavour a Porta Trova.
Accanto alla Barriera, all'inizio del percorso pedonale parallelo al viale, è collocato un suo busto di marmo, opera (1909) dello scultore Francesco Jerace (Polistena 1857 - Napoli 1937), donato nel 2006 alla città di Cesena dalla famiglia Allocatelli Travaglini.
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