Dopo oltre 70 anni dall’arresto e dalla deportazione delle loro famiglie, Anna Saralvo e Antonia Jacchia, rispettivamente discendenti di Mario, Amalia e Giorgio Saralvo, prelevati dalla loro abitazione di Piazza Vittorio Emanuele (oggi Piazza del Popolo) e di Dina e Diana Jacchia, portate via dalla loro casa di Corso Comandini, nel pomeriggio di ieri, giovedì 28 gennaio, si sono presentate alla città nel corso di “RaccontaMi”, l’evento curato dalla giornalista del Resto del Carlino Raffaella Candoli e inserito nella Settimana della Memoria organizzata dal Comune di Cesena, in collaborazione con altre realtà culturali del territorio. All’evento hanno preso parte anche la professoressa del Liceo linguistico “Ilaria Alpi” Valeria Bandini e Margherita Mondaini, studentessa che ha condiviso la sua esperienza ad Auschwitz.
Nel corso dell’incontro, le due donne – oggi a Milano – hanno ripercorso gli anni del dopoguerra condividendo alcuni episodi di vita familiare legati ai propri genitori e nonni.
“Negli anni politici, erano gli anni ’70 – ha confessato Anna Saralvo – frequentavo le scuole medie. La mia famiglia non era osservante, pur essendo ebrei di tradizione, per cui non frequentavo una scuola ebraica, ma una pubblica di Milano con la sola condizione di non partecipare all’ora di religione. Di conseguenza, alcuni miei compagni di classe, evidentemente di destra, dopo essersi informati mi hanno inseguita gridandomene di ogni e insultandomi. Non ne capivo la ragione. Ero una bambina di 12 anni, in casa nessuno mai mi aveva raccontato il passato della mia famiglia e quanto subito da alcuni membri. Tornai a casa e ne parlai a mio padre. ‘Papà – dissi – ho paura che mi picchino’. Lui, con le lacrime agli occhi, mi rispose: ‘Neanche a quei tempi mi hanno mai detto una roba del genere’. Decise di parlarne con il preside e di lì a poco arrivarono le scuse dal padre di uno di questi ragazzi”.
“La realtà cesenate – ha proseguito Antonia Jacchia, figlia di Valter e nipote di Dino, cugino delle sorelle Jacchia – ai tempi era diversa. Di tanto in tanto, quando i miei coetanei volevano mettermi all’angolo mi insultavano, mi dicevano ‘saponetta’. Quelle parole mi ferivano ma non le vivevo con drammaticità. Certo, sono cose che restano. A tal proposito, mi piace riportare le parole della Senatrice Liliana Segre: ‘Ma perché?’. Non c’è una risposta, se non la colpa di essere nata ebrea. Non è questo il nostro caso, siamo nate dopo, ma sono episodi tristi che ci riportano all’importanza della cultura della memoria. Questa è una forma di bullismo, non credo ci siano implicazioni politiche. È molto importante trasmettere questi segni di libertà: ognuno è quello che è, deve essere libero di essere se stesso. credo che ora più che mai è necessario”.