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74º anniversario della Liberazione di Cesena

“L’esempio morale di chi si ribellò deve essere dentro di noi ed indicarci il percorso di vita democratica”

Questa mattina Cesena ha ricordato il 74° anniversario della sua Liberazione – avvenuta il 20 ottobre 1944  ad opera delle truppe alleate e dei partigiani - con una serie di iniziative. 

Alle 10,30, nel Salone del Palazzo Comunale è stata inaugurata la mostra didattico-documentaria “1938-2018: a ottant’anni dalle leggi razziali” curata dall’Istituto per la Storia della Resistenza e dell’Età Contemporanea di Forlì-Cesena e scaturita dall’esperienza di alternanza scuola-lavoro svolta da 24 ragazzi della classe 4C del Liceo classico “Vincenzo Monti” nell’anno scolastico 2017-2018. La mostra rimarrà allestita fino al 18 novembre e potrà essere visitata negli orari di apertura del Palazzo Comunale. 

Alle 11, sotto il Loggiato del Municipio, si è svolta la commemorazione ufficiale, con la deposizione di corone  di alloro sulle lapidi a Cesena Medaglia d’argento al Valor Militare e alle Vittime civili di guerra alla presenza delle autorità civili e militari e, a seguire, l’intervento del Sindaco Paolo Lucchi.

Ecco quello che ha detto il Sindaco. 

“Oggi è un giorno importante per Cesena: un giorno di festa e di memoria, che unisce il momento del doveroso ricordo e l’attualizzazione dei valori attorno ai quali, a partire dalla Liberazione, Cesena e tutt’Italia trovarono la forza di rialzarsi dopo i durissimi anni de fascismo prima e dell’occupazione nazista poi.
Il 20 ottobre di 74 anni fa, infatti le truppe alleate dell’Ottava Armata ed i partigiani, entravano in città, segnando così la fine di un lungo periodo di oscurità e di angoscia.Nei mesi precedenti la nostra terra aveva conosciuto la faccia più feroce della guerra di occupazione, con bombardamenti, rappresaglie, eccidi di vittime innocenti. E, prima ancora, c’erano stati i lunghi anni vissuti sotto il peso della dittatura.

La nostra città non dimentica e, non a caso, rende onore a quelle donne, a quegli uomini, ricorda quei tragici fatti, deponendo corone nei luoghi della nostra memoria collettiva: il Cimitero Militare degli Alleati, il Monumento al Partigiano in Viale Carducci, la Lapide a Mario Guidazzi (in corso Cavour n. 157), il Monumento ai Caduti di Cefalonia (in viale Carducci), la Lapide in ricordo degli Ebrei caduti e deportati per motivi razziali (in Piazza Almerici), la lapide alle Vittime civili di guerra nell’Atrio del Palazzo Comunale, la lapide ai caduti partigiani nel loggiato del Palazzo comunale; nello Sferisterio della Rocca; sul Monumento alle vittime di Ponte Ruffio. 

Lo abbiamo confermato noi stessi, tutti assieme, qualche attimo fa, deponendo la corona sulla lapide che ricorda la medaglia d’argento al valor militare concessa dal Ministero della Difesa alla nostra città il 17 aprile 1975, con la seguente motivazione:
“Fedele ad antiche e gloriose tradizioni patriottiche e democratiche, la città di Cesena sin dall’armistizio dell’8 settembre 1943 fu centro di decise reazioni e di lotta con l’oppressione tedesca e fascista. Esprimendo e sostenendo coraggiosamente le agguerrite forze partigiane, la cui organizzazione ebbe inizio con la costituzione della prima base di volontari a Pieve di Rivoschio, e nella circostante zona collinare, durante quattordici mesi di duro impegno operativo, i cesenati contribuirono validamente ad imporre un consistente logoramento alle forze nemiche ed a danneggiare mezzi ed apprestamenti” 

E, con i fatti, lo conferma anche l’ordine del giorno approvato dal Consiglio comunale il 28 settembre 2017, che impone il rispetto esplicito di quegli stessi valori della resistenza a coloro i quali vorranno utilizzare spazi ed edifici pubblici per manifestare nella nostra città. Perché, sia chiaro a tutti, l’esempio morale di chi si ribellò non è solo iscritto su questa lapide: deve essere dentro di noi ed indicare il percorso di vita democratica ad ogni cesenate. E chi ha la fortuna e l’onore di governare pro tempore la nostra comunità, non può che farli rispettare – senza finzioni, senza ambiguità – i valori che indicarono la strada alle donne ed agli uomini della Resistenza, sapendo che, per riuscirci, è anche necessario impedire che chi si rifà al fascismo, al razzismo, al disprezzo della democrazia, possa utilizzare spazi pubblici della nostra Cesena. Esattamente come ha fatto il Governo un anno fa, impedendo che qualcuno, rifacendosi a regolamenti comunali troppo ambigui, trovasse spazi per riproporre un’anacronistica e provocatoria riedizione della Marcia su Roma. E, naturalmente, mi auguro che di fronte a provocazioni di questo tipo, anche in futuro in Italia vi sia sempre un Governo in grado di respingerle.Ma torniamo assieme al 20 ottobre 1944. Rimini era stata liberata il 21 settembre e l’esercito alleato aveva impiegato dunque un mese, alla media di un chilometro al giorno, ad arrivare a Cesena. In quella bella giornata – come ci raccontano i testimoni di allora – il silenzio della città è squarciato non più dal crepitio degli spari, ma dal grande rumore dei primi carri armati che entrano da Porta Santi, diretti verso il centro città.

Vorrei raccontarvelo con le parole tratte dal diario di Don Leo Bagnoli: “Carri armati possenti che rumoreggiano. Vado ad affacciarmi alla finestra della Casa del Sacrista in corso Garibaldi vicino all’abside del Duomo. Prima un’automobile con alcuni ufficiali, poi un carro armato mastodontico, poi le fanterie inglesi appiedate. Rasentano i muri adagio, molto cauti, con i fucili mitragliatori in mano. Prendono posizione sotto i portici, guardano le finestre freddi, di fronte alle festosissime accoglienze della popolazione. Poi altri carri armati con la torretta scoperta. Hanno fiori sui fanali. Da parte di un militare, in piedi su un autoblindo, vengono trasmessi Radio-comandi. Un cittadino, con una bottiglia in mano, distribuisce bicchieri di vino, che i soldati accettano. Giovani romagnoli con un bracciale rosso, bianco e verde si danno da fare a tener l’ordine”.
In modo mirabile, Don Bagnoli tratteggia una popolazione gioiosa, presa dalla voglia di ripartire. E consapevole di poterlo fare attraverso l’esempio garantito da chi ebbe la forza di ribellarsi negli anni del fascismo, durante i quali questo, inevitabilmente, significava confino e pesanti angherie personali e famigliari. Ma anche grazie ai valori di chi ebbe il coraggio di ribellarsi attivamente dopo l’8 settembre 1943, trovando linfa vitale nella rete di solidarietà che coinvolse in maniera duratura donne ed uomini in ogni parte della nostra città. Da quei valori nacque la nostra Costituzione che nelle sue pagine trovò la magica ricucitura tra storie personali profondamente diverse eppure concordi nel porsi un obiettivo comune: la ricostruzione del nostro Paese, poggiata su basi valoriali condivise.

Di quel processo coraggioso di ricostruzione – prima di tutto morale – del nostro Paese, furono protagonisti soprattutto i giovani.
Non a caso Pietro Calamandrei, nei suoi affollatissimi incontri/lezione rivolti alle ragazze ed ai ragazzi che stavano ricostruendo l’Italia, diceva spesso: “Dietro ogni articolo della Costituzione, dovete vedere giovani come voi che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta”.
Quei giovani sacrificarono la loro vita per consentirci le libertà che oggi abbiamo: lo testimoniano ogni giorno le lapidi, spessissimo di under 30, nei cimiteri di guerra e nei luoghi creati in ricordo dei tanti partigiani caduti.
Loro scelsero di mettere a rischio la propria vita pensando a noi: alla possibilità di regalarci quel futuro di libertà individuale e collettiva che il ventennio fascista aveva invece loro negato.
Ed i ragazzi del nostro Liceo Classico che, assieme all’Istituto Storico della Resistenza, ci hanno appena regalato una mostra sugli 80 anni dalla vergogna delle Leggi razziali esposta nel salone comunale, facendoci emozionare ci hanno appena confermato come, per fortuna, quei valori siano ancora vivi tra le giovani generazioni. Ecco perché quella di oggi non è una semplice rievocazione storica, pensata per la soddisfazione degli studiosi e dei nostalgici. E’ un richiamo a riflettere sulla nostra identità, sui valori che, oggi come allora, riconosciamo come bene comune.Ed ecco perché quella Costituzione è ancora lì, viva, a ricordarci il monito dei nostri diritti individuali, di quelli collettivi, dei valori che ci devono tenere uniti. Ed ecco perché è anche naturalmente fondamento della nostra di comunità cittadina.

Non a caso, in occasione del 30simo anniversario della Liberazione di Cesena, l’allora Sindaco Leopoldo Lucchi (che era stato anche un protagonista della Resistenza, così come i Sindaci che l’avevano preceduto Sozzi e Manuzzi) scriveva nella prefazione al libro “Cesena libera”.
Se vogliamo trovare una ragione al fatto che (…) il fascismo fu per la  Romagna e per la nostra città, in particolare, un corpo estraneo, non possiamo non andarla a cercare in tutto quel tessuto democratico fatto di Case del popolo, Cooperative, Circoli, costituito da repubblicani, comunisti, cattolici, socialisti, i cui militanti, pur passando attraverso momenti di forti polemiche, seppero trovare una vasta unità antifascista. Credo che proprio in questo stia la peculiarità della nostra Regione e nel fatto che attorno ai valori di libertà, di emancipazione economica, politica, morale, si formò un’alleanza fra classe operaia e lavoratori delle campagne fino ai gruppi di intellettuali e della borghesia più avanzata, che fu la base della resistenza armata e del periodo della ricostruzione”.
Quei valori, anche se a volte tendiamo a dimenticarcene, permeano ognuno di noi e tengono assieme la nostra comunità.Viva la Liberazione di Cesena; viva l’Italia democratica ed antifascista”.   

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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