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L'Assessore Benedetti risponde all'interpellanza del consigliere Casali sulla famiglia sfrattata da Acer


L’oggetto dell’interpellanza insiste su uno sfratto compiutamente eseguito dall’autorità giudiziaria in data 3 marzo 2014 in forza di sentenza emessa dal Tribunale di Forlì (l’allora esistente Sezione distaccata di Cesena) in data 20 febbraio 2013.
Dalla data del 16 giugno 2014, tale nucleo familiare non si è più rivolto a questo servizio sociale fino al corrente mese di aprile 2017, ossia 33 mesi dopo gli ultimi contatti occorsi a seguito dello sfratto e a tutt’ora il servizio Sociale non è stato in condizioni di acquisire elementi sufficienti per comprendere in quali condizioni e in quali abitazioni tale nucleo abbia trascorso  i 33 mesi passati.

Le procedure di sfratto o decadenza dal titolo di permanenza presso alloggi popolari nei Comuni dell’Unione Valle del Savio sono storicamente (perlomeno negli ultimi vent’anni) risicate a poche unità, tutte motivate da gravi e comprovate ragioni. Nel caso specifico lo sfratto Muratoti-Lelli si è reso necessario al termine di un iter che ha previsto diversi tentativi di mediazione in sintesi così rappresentati:

La procedura di sfratto è stata avviata per morosità colpevole, ossia in quanto non accompagnata da oggettiva mancanza di reddito fin dal 1989. Si fa presente a questo proposito che nel 2013 il nucleo aveva un ISEE di 11.407, ma che a tutt’oggi poco altro risulta, essendo sempre stato impossibile il confronto con la famiglia sulla reale situazione economico-finanziaria, la cui precarietà è sempre ed esclusivamente stata da loro rappresentata senza documentazione a supporto (richiesta per trasparenza dal regolamento di accesso ai servizi). Oggi risulterebbe, ad esempio, che il figlio abbia un CUD di 23.226 € e la madre una pensione stabile lorda di € 990,83 € più una indennità INAIL non quantificata, ma a quanto ammonti esattamente il dichiarato pignoramento complessivo non ci è dato a sapere.

Per questo, sarebbe fondamentale che il nucleo si sedesse attorno ad un tavolo per ragionare serenamente ed in maniera trasparente con i servizi per ricostruire esattamente insieme a loro il quadro economico complessivo. Ma torniamo alla procedura di sfratto: fu sospesa per un certo periodo perché il nucleo - messo alle strette - aveva pagato parte del debito accumulato. Venne, tuttavia, riattivata nel 2010 a seguito di nuovo riacutizzarsi del debito, ancora una volta non suffragato da oggettiva mancanza di reddito. Al momento dello sfratto esecutivo (appunto il 3 marzo 2014), i debiti accumulati dalla famiglia nei confronti di Acer ammontavano complessivamente ad euro 46.503,09; A nulla sono valsi i diversi tentativi operati dal servizio sociale di concerto con ACER per ricercare soluzioni bonarie ed evitare lo sfratto (tra il mese di agosto 2013 e la data dello sfratto si contano almeno 6 incontri occorsi).

Il diario dei diversi tentativi di mediazione organizzati dal Servizio Sociale di concerto con ACER tra l’estate e la fine dell’anno 2013 è interamente conservato agli atti. All'atto dello sfratto, però, pur in presenza di una morosità colpevole, tenuto conto delle loro già fragili condizioni di salute, i servizi hanno proposto ad entrambi gli anziani (allora il marito e padre era ancora in vita) un inserimento in struttura residenziale, accettato dal Signor Muratori ma rifiutato dalla moglie Signora Elda Muratori, con uscita volontaria dopo pochi giorni di permanenza. Si tenga presente che il marito è deceduto in struttura dopo qualche mese e la moglie percepisce a tutt'oggi, ovviamente, la pensione di reversibilità. In aggiunta a ciò, nelle concomitanze dello sfratto, il nuovo nucleo composto da madre e figlio ha anche rifiutato un sostegno economico, in forma di caparra o cauzione utile all'accesso in un nuovo alloggio reperito sul mercato, interrompendo bruscamente i rapporti con i servizi, senza mai produrre all’assistente sociale la bozza di contratto che attestasse formalmente la proposta di affitto condivisa con il proprietario. Nella sentenza di sfratto sopra richiamata fu riconosciuta la sussistenza del credito della famiglia nei confronti di Acer nella sua completezza, ma soprattutto, confutando in maniera inequivocabile le argomentazioni che pretestuosamente la famiglia adduceva e, da quanto si è appreso dai giornali, continua ad addurre  a sostegno della loro morosità.Infatti nella sentenza, si evidenzia che l’assunto degli opponenti circa le condizioni di insalubrità dell’immobile fu smentito dalla consulenza tecnica d’ufficio disposta dal Tribunale, in base alla quale dette condizioni dovevano ritenersi dipendenti dall’inadempimento dei conduttori agli obblighi manutentivi a loro carico, mentre ogni altro vizio o mancanza addotta rientrava fra  le opere di piccola manutenzione di loro competenza.

La sentenza li condannava, tra l’altro, anche a rimuovere un manufatto abusivo da essi realizzato nella terrazza, in contrasto con il divieto di addizioni non autorizzate, e che era stato riconosciuto pericoloso per gli stessi inquilini nella relazione tecnica  avanzata da ACER e conservata agli atti. Naturalmente anche la sentenza richiamata è conservata agli atti. Per quanto riguarda lo stato attuale delle cose, colgo l’occasione per ricordare anche in questo contesto, quanto ho già avuto modo di comunicare attraverso la stampa locale, con effettiva preoccupazione. La signora Muratori è ultrasettantenne e ad oggi ci risulta che dorma in macchina insieme al figlio, rifiutando di trattare qualsivoglia soluzione che non sia la restituzione tout-court dell’alloggio popolare da cui sono stati sfrattati 3 anni or sono per gli ingenti debiti di affitti non pagati sopra riportati. Allo stato attuale, in presenza di debito, per altro consistente, è assolutamente esclusa dai regolamenti l’assegnazione di un altro alloggio ERP. Tuttavia, come già dichiarato, il servizio resta a disposizione. Condizione fondamentale affinché possano essere condivise soluzioni è che il nucleo inizi a rapportarsi col servizio sociale, ma in modo anche solo minimamente costruttivo. Dopo i 33 mesi già ricordati sopra, infatti, trascorsi dalla esecuzione dello sfratto senza contrarre alcun rapporto col Servizio Sociale, in data 5 aprile 2017, il nucleo ha riallacciato i rapporti, dapprima solo per via telefonica e poi presentandosi di persona (madre e figlio) in due occasioni il 10 e il 19 aprile. Purtroppo entrambe le occasioni si sono trasformate rapidamente in una invettiva pesante e in uno scontro verbale nei confronti del servizio  con assenza completa di collaborazione e fattiva volontà di ricerca di soluzioni. In particolare in data 19 aprile si è reso necessario l’intervento degli agenti della PM per contenere l'aggressività della coppia la quale, alzando più volte la voce, si è allontanata dai locali lanciando improperi e minacce di vario genere contro gli operatori del servizio sociale. Nonostante i diversi appelli alla ragionevolezza e alla ricerca congiunta di soluzioni, infatti, madre e figlio hanno lasciato la sede municipale senza dar modo ai diversi interlocutori incontrati (Assistente Sociale, Responsabile di Servizio, Dirigente ed Assessore) di impostare alcuna soluzione fattiva, dichiarando apertamente di voler continuare a dormire in macchina.

In sintesi, si sono detti interessati esclusivamente a rientrare in possesso della casa popolare, senza, nuovamente, voler intendere la gravità della loro situazione e la sussistenza di un debito confermato dal tribunale, pur in presenza di entrate mensili. Le relazioni di servizio che descrivono compiutamente l’incedere di tali incresciosi episodi sono conservate agli atti.Riteniamo, dunque, che la sentenza del 2013 abbia messo chiaramente in luce i termini della vicenda e soprattutto le responsabilità di un nucleo familiare che pur trovandosi in presenza di un reddito mensile da lavoro a tempo indeterminato e da alcune pensioni, per ragioni difficilmente incomprensibili e mai documentate, abbia sempre rifiutato di misurarsi con una realtà considerata ostinatamente come velleitaria.Nonostante il pignoramento di parte di queste entrate, a seguito della sentenza richiamata, attualmente il nucleo mantiene un debito (aggiornato ai movimenti bancari lo scorso 21 aprile) nei confronti di ACER di euro 41.877,42 €. Eppure, siamo convinti che soluzioni a questa grave precarietà sociale siano da ricercare e possano essere trovate.Tuttavia, dette condizioni non possono essere riposte nella restituzione del titolo alla permanenza nell’alloggio popolare perduto con tale sentenza, ma nella ricerca di soluzioni alternative che mettano in gioco gli attuali bisogni del nucleo ma anche, e soprattutto, le risorse complessive di cui essi dispongono, attraverso l’assunzione di responsabilità comuni (dei servizi e della famiglia), in assenza delle quali ogni tentativo sarà vano. Prerogativa irrinunciabile di tale ricerca è che, come sopra già esplicitato, il nucleo inizi a rapportarsi col servizio sociale in maniera trasparente e positiva.

Nonostante le minacce, le urla e tutto quanto ripetutamente avvenuto ed ascoltato, noi siamo disponibili a proseguire gli incontri, nella convinzione più assoluta che la coppia, ad iniziare dall’anziana madre, non debba più dormire in automobile. Rinnovo dunque il mio appello alla signora Muratori e al figlio a voler ritornare in Comune. E chiedo anche ai parenti, agli altri figli di volerci aiutare perché questo accada. Ma per il rispetto dovuto alle famiglie che pur con sacrifici pagano regolarmente l’affitto e che in presenza di situazioni economiche anche peggiori condividono progetti faticosi con i servizi sociali, non possiamo che chiedere anche a questi signori trasparenza, correttezza, e onestà. Non credo di aver bisogno di ricordare che non possono essere altre le modalità di gestione del denaro pubblico.

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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