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70° anniversario della Liberazione di Cesena: l'intervento del Sindaco Paolo Lucchi

20 ottobre - Consiglio comunale aperto

Consiglio Comunale apertoCesena, 20 ottobre 1944 - 20 ottobre 2014

Intervento del Sindaco Paolo Lucchi Oggi è un giorno importante per Cesena: un giorno di festa e di memoria.Il 20 ottobre di 70 anni fa le truppe alleate dell'Ottava Armata ed i partigiani, entravano in città, segnando così la fine di un lungo periodo di oscurità e di angoscia. Nei mesi precedenti la nostra terra aveva conosciuto la faccia più feroce della guerra di occupazione, con bombardamenti, rappresaglie, eccidi di vittime innocenti. E, prima ancora, c'erano stati i lunghi anni vissuti sotto il peso della dittatura, con la cancellazione di qualsiasi forma di democrazia, la negazione dei diritti più elementari che stanno alla base della convivenza civile, l'emanazione di leggi illiberali e persecutorie. Ma torniamo assieme al 20 ottobre 1944. In quella bella giornata - come ci raccontano i testimoni di allora - il silenzio della città è squarciato non più dal crepitio degli spari, ma dal grande rumore dei primi carri armati che entrano da Porta Santi. Vorrei raccontarvelo con le parole tratte dal diario di Don Leo Bagnoli: "Carri armati possenti che rumoreggiano. Vado ad affacciarmi alla finestra della Casa del Sacrista in corso Garibaldi vicino all'abside del Duomo. Prima un'automobile con alcuni ufficiali, poi un carro armato mastodontico, poi le fanterie inglesi appiedate. Rasentano i muri adagio, molto cauti, con i fucili mitragliatori in mano. Prendono posizione sotto i portici, guardano le finestre freddi, di fronte alle festosissime accoglienze della popolazione. Poi altri carri armati con la torretta scoperta. Hanno fiori sui fanali. Da parte di un militare, in piedi su un autoblindo, vengono trasmessi Radio-comandi. Un cittadino, con una bottiglia in mano, distribuisce bicchieri di vino, che i soldati accettano. Giovani romagnoli con un bracciale rosso, bianco e verde si danno da fare a tener l'ordine".Credo che noi, oggi, possiamo comprendere solo in parte l'emozione, il senso di sollievo, la gioia che provarono allora i nostri padri, i nostri nonni, in quel giorno che portava la libertà e, finalmente dopo settimane di attesa - Rimini era stata liberata il 21 settembre e l'esercito alleato aveva impiegato dunque un mese, alla media di un chilometro al giorno, ad arrivare a Cesena -, apriva la porta al ritorno della pace. Così come possiamo solo immaginare le sofferenze, le paure, i pericoli degli anni precedenti. Ma per chi c'era, quelle furono esperienze fortissime, indelebili ancora dopo tanti decenni.Ne ho avuto la riprova pochi giorni fa, quando ho ricevuto la lettera del signor Francesco Sica, di Filadelfia in provincia di Vibo Valentia. Nella sua lettera, il signor Sica ha voluto raccontarmi le traversie che nel 1943, militare sbandato in fuga dalle rappresaglie naziste, lo portarono a Cesena: "Non fui scoperto - scrive - grazie ad una donna popolana di via Savio, che mi spalancò la porta di casa senza alcuna esitazione. Un gesto d'amore materno per proteggermi dalle insidie del mio cammino, pieno di pericoli mortali e di agguati micidiali".Un gesto - aggiungo io - semplice quanto coraggioso, compiuto da una donna di cui non sappiamo il nome. Uno dei tanti protagonisti sconosciuti di quell'epoca a cui oggi, idealmente, rendiamo omaggio. Assieme a Simone Zignani, Presidente del nostro Consiglio comunale, ed ai Capigruppo Pullini, Zoffoli, Rosso, Valletta, abbiamo scelto che fosse un Consiglio aperto - massima espressione della partecipazione cittadina -  ad aiutarci a celebrare la memorabile giornata di nuova libertà per Cesena. Lo abbiamo deciso consapevoli di come fosse necessario, per tutti noi amministratori pro tempore della cosa pubblica e per ognuno dei cittadini che oggi ha scelto di essere qui, contribuire a costruire una testimonianza tangibile del nostro impegno a mantenere viva l'eredità di democrazia che ci è stata consegnata da quella generazione che ha combattuto contro il nazifascismo e poi ha lavorato duramente per ricostruire il Paese, non pensando solo alle pur necessarie case, alle fabbriche, alle strade, ma anche e soprattutto alle basi della convivenza civile, ai valori fondanti della nostra società.Proprio per questo, naturalmente, non è un caso se abbiamo scelto di celebrare l'anniversario della Liberazione della nostra città proprio nel nostro bel Teatro, simbolo culturale di Cesena e della Romagna.Tornate, allora, per un attimo alle parole di Don Leo Bagnoli, alla sua descrizione "da cronaca radiofonica", come sottolinea sull'ultimo Corriere Cesenate l'amico Don Piero Altieri.Quei carri armati, quei soldati, quei partigiani, passano proprio qui di fronte. Ed intravedono un Teatro Bonci offeso dalla guerra, con il soffitto gravemente lesionato e quindi in gran parte inutilizzabile.Nelle settimane successive anche il teatro Bonci, come altri edifici pubblici, viene requisito dagli alleati per esigenze logistiche. Ma appena se ne offre l'opportunità - 14 mesi dopo, nel gennaio del 1946 - la Giunta di Cesena (quella, guidata da Sigfrido Sozzi, uomo della Resistenza) ne chiede la "derequisizione". Fra le ragioni che la Giunta indica per spiegare i motivi per i quali il Bonci "abbisogna al Municipio", vi è "l'uso quasi giornaliero del teatro in questo periodo pre elettorale". E subito dopo (il 12 febbraio 1946), la Giunta approva il primo progetto di riparazione del tetto, indicando come prioritaria "la necessità di recuperare il magnifico tempio dell'Arte (scritto con la iniziale maiuscola, nella delibera) che vanta con questo anno la sua gloriosa vita centenaria".Ve ne rendete conto? Di fronte ad una città distrutta dalla guerra, ancora piena di sfollati e di famiglie in una situazione di grave disagio, nella quale manca tutto o quasi, la Giunta comunale (quella composta da donne ed uomini cresciuti nella lotta clandestina al fascismo e poi nella lotta armata al nazifascismo), si dà una priorità; sceglie di avviare la ricostruzione anche cominciando da quello che è uno dei simboli più illustri della cultura cittadina. E dimostra così nei fatti come la ricostruzione della comunità debba precedere quella di qualsiasi edificio.A testimoniare quell'impegno, nel magnifico foyer del Bonci, che tutti abbiamo attraversato questa mattina, c'è una lapide, in cui si legge:"Il culto della lirica e della drammatica ebbe qui per un secolo purissime e gloriose manifestazioni. L'amministrazione civica elettiva nella ricorrenza centenaria, ha voluto il restauro del teatro dalle offese del tempo e della guerra perché viva e continui nel popolo l'amore per le arti belle. (15 agosto 1846 - 1 ottobre 1946)"Non a caso, quindi, l'11 maggio 1946 l'Assessore Antonio Manuzzi (poi Sindaco dal 1956 al 1970), sintetizza il programma del Comune con queste tre parole: "Pane, casa, educazione".Ecco dunque perché al Bonci, prima di quello odierno, si sono sempre svolti i momenti importanti della nostra vita pubblica e democratica; fra essi l'indimenticabile cerimonia svoltasi il 17 marzo 2011 per celebrare il 150simo dell'Unità d'Italia. Quell'unità che la Liberazione completò, riprendendo un percorso di dignità nazionale interrotto con la seconda guerra mondiale e con l'occupazione nazifascista.A me pare che questa parte di storia del "Bonci" e della nostra città, testimoni, con la concretezza dei fatti, la forza ed i valori che animavano le donne e gli uomini usciti dalla guerra e chiamati a ricostruire il nostro Paese. Quella stessa forza, quegli stessi valori che, durante la Resistenza, hanno sorretto la scelta dei tanti che si opposero al regime nazifascista per restituire agli italiani la libertà, affrontando pericoli e sofferenze, spesso fino al sacrificio supremo della vita.Deve essere chiaro, rimanere scolpito nelle nostre menti: questi settant'anni di pace e democrazia vissuti dal nostro Paese e dalla nostra città, sono l'eredità di chi ha combattuto per esse.Per questo è giustamente celebre l'ammonimento che Pietro Calamandrei, padre costituente, pronunciò parlando agli studenti universitari nel 1955: "Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati. Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione".La Costituzione è la carta fondamentale della nostra comunità che, forse, in questi anni difficili che ci troviamo a vivere, assume un ruolo di guida ancora più importante, poiché la crisi economica e sociale, i rivolgimenti mondiali, non devono distoglierci dalla tensione a realizzare l'alto e impegnativo programma, che essa traccia. Mi permetto di ricordarlo soprattutto alle tante ragazze ed ai tanti ragazzi che sono qui oggi: anche se le generazioni passate non sono riuscite a portare quel programma a pieno compimento, non cadete nella tentazione di considerare la Costituzione una legge antica ed ormai poco utile. Pensate, piuttosto, come diceva ancora Calamandrei, che "Dietro ogni articolo della Costituzione, dovete vedere giovani come voi che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa Carta". Quei giovani sacrificarono la loro vita per consentirci le libertà che oggi abbiamo e forse sarebbe utile ricordare che la guerra e la resistenza furono combattute soprattutto da giovanissimi.Lo testimoniano ogni giorno le lapidi, spessissimo di under 30, nei cimiteri di guerra e nei luoghi creati in ricordo dei tanti partigiani caduti.A scendere in campo in quegli anni, furono dunque soprattutto donne ed uomini giovani, che scelsero di mettere a rischio la propria vita pensando a noi: alla possibilità di regalarci quel futuro di libertà individuale e collettiva che il ventennio fascista aveva invece loro negato. Ecco perché quella di oggi non è una semplice rievocazione storica, pensata per la soddisfazione degli studiosi e dei nostalgici. E' un richiamo a riflettere sulla nostra identità, sui valori che, oggi come allora, riconosciamo come bene comune!Per questo, partendo dalla convinzione dello stretto legame fra passato e presente della nostra città, assieme agli amici del Comitato che vi ha lavorato (e che ringrazio molto per lo sforzo notevolissimo garantito in questi mesi), abbiamo voluto che il programma delle iniziative promosse per questo 70° anniversario della Liberazione di Cesena, senza alcuna retorica, rispecchiasse tre caratteristiche fondamentali.La prima: che abbracciasse tutto il territorio, perché tutto il territorio di Cesena partecipò alla Resistenza, in città come nelle frazioni, in pianura come sulle colline;La seconda: che coinvolgesse tutti, perché la Resistenza  vide impegnati operai ed agricoltori, insegnanti, studenti ed artigiani, parroci ed ex esiliati politici, comunisti, repubblicani, socialisti, cattolici, azionisti che, proprio perché sapevano di voler costruire un futuro di giustizia per tutti, trovarono la forza di reggere l'urto di mesi terribili come quelli che separano l'8 settembre 1943 dal nostro 20 ottobre 1944;La terza: che parlasse soprattutto ai giovani, perché furono appunto i giovani i principali protagonisti della Resistenza e sono certo che, al di là degli stereotipi spesso elargitici a piene mani dai mezzi di comunicazione, le ragazze ed i ragazzi di oggi credano in quegli stessi valori, con la medesima passione e la medesima generosità. Concludo questo intervento ricordando quello che, in occasione del 30simo anniversario della Liberazione di Cesena, l'allora Sindaco Leopoldo Lucchi (che era stato anche un protagonista della Resistenza, così come i Sindaci che l'avevano preceduto Sozzi e Manuzzi) scriveva nella prefazione al libro "Cesena libera"."Se vogliamo trovare una ragione al fatto che (...) il fascismo fu per la  Romagna e per la nostra città, in particolare, un corpo estraneo, non possiamo non andarla a cercare in tutto quel tessuto democratico fatto di Case del popolo, Cooperative, Circoli, costituito da repubblicani, comunisti, cattolici, socialisti, i cui militanti, pur passando attraverso momenti di forti polemiche, seppero trovare una vasta unità antifascista. Credo che proprio in questo stia la peculiarità della nostra Regione e nel fatto che attorno ai valori di libertà, di emancipazione economica, politica, morale, si formò un'alleanza fra classe operaia e lavoratori delle campagne fino ai gruppi di intellettuali e della borghesia più avanzata, che fu la base della resistenza armata, del periodo della ricostruzione e che crediamo debba esserlo ancora oggi (...) per dare una risposta alla richiesta di rinnovamento che sale dal Paese".L'analisi di "Gigi" Lucchi (il Partigiano "Gim") ha 40 anni, ma potrebbe essere scritta con le stesse parole anche oggi, poiché pare far riferimento alla infinita crisi economica, sociale, morale che sta ancora in questo periodo attraversando il nostro Paese.Eppure, oggi come allora, ci offre non solo una luce di speranza ma, soprattutto, una chiave di lettura. Quella costruita dai valori della Resistenza e della Costituzione: gli unici con i quali potremo provare a far ripartire il nostro Paese, da troppo tempo alle prese con l'incapacità di cambiare rispettando le libertà individuali di tutti e non lasciando mai indietro nessuno.Ma, ne sono certo, a Cesena sono ancora forti gli anticorpi che 70 anni fa resero più forte la nostra città nella sua fase di rinascita e che oggi tutti sappiamo bene essere la vera linfa vitale del nostro volontariato, dell'associazionismo, di una scuola che non si è mai arresa alle tante difficoltà di questi anni.Viva Cesena liberata, Viva l'Italia liberata.

 
 
 

Ufficio stampa
Federica Bianchi

 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
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